La sua ispirazione arriva direttamente dai boschi e dalla natura dell’Altopiano di Asiago dove vive e lavora. Stiamo parlando di Marco Martalar, lo scultore che con il suo Drago di Vaia ormai ha fatto storia, ma che da tanti anni trasforma il legno in opere d’arte, opere che scaturiscono dalla vitalità della natura: leggere, sinuose, in qualche modo vive.
Il Drago di Vaia è sicuramente l’opera che ti ha reso famoso in tutta Italia e all’estero, ma il tuo percorso parte da molto lontano. Ce lo vuoi raccontare?
Mi piace pensare che il mio percorso parta da un giorno specifico: quello in cui ho visto la pietà di Michelangelo. Avevo 12 anni. Rimasi folgorato, dissi a me stesso che da grande avrei fatto lo scultore, per me era il massimo a cui un uomo potesse aspirare. A 30 anni ho iniziato con il legno e da lì non mi sono più fermato.
Hai sempre detto che nella realizzazione del Drago l’idea era quella di costruire aggiungendo piuttosto che togliendo. È un concetto molto bello, come ti è venuta questa idea?
Abito in montagna e sono cresciuto tra i boschi. L’idea di unire l’arte al legno è arrivata in modo piuttosto spontaneo. Ovviamente, come tutti, ho iniziato nel modo più classico, scavando un tronco (quindi togliendo) e creando forme che davano vita a quello che avevo in testa. Poi è arrivata la tempesta Vaia e per me è stato come uno scossone, un terremoto interiore. Nulla del bosco era come prima, tutto era cambiato ed è venuto naturale adattarsi a questo nuovo assetto del bosco. Dopo alcuni mesi si è fatta strada nella mia mente l’idea di dare vita a quell’infinità di materiale legnoso schiantato dopo il forte vento creando nuove forme, un nuovo concetto in cui la ricostruzione partiva dall’intuizione di rimettere insieme i pezzi, piuttosto che toglierne altri.
Sappiamo che in questi giorni stai lavorando alla realizzazione di una nuova opera, da cosa nasce e che cosa rappresenta per te?
Ogni opera ha una sua vita, una sua porzione di pianeta; ogni opera è un dono che ricevo, un modo di esprimermi e vivere in questi luoghi magnifici.
Al momento sto realizzando un Grifone, un essere mitologico tra aquila e leone. Si troverà a Castello Tesino su un’altura panoramica, tra Veneto e Trentino. La scelta non è casuale: il leone alato emblema del Veneto e l’aquila trentina si uniscono simbolicamente sul confine tra le due regioni in segno di collaborazione e unità.
Dopo l’enorme successo del Drago, sentivi un po’ l’ansia per le opere successive?
In effetti sì, riscuotere lo stesso successo del Drago non era una garanzia e l’aspettativa delle amministrazioni è sempre molto alta. Ci siamo resi conto però che le nuove opere sono sempre seguite con molta curiosità. Ormai è uno stile riconoscibile e c’è da dire che facendo pratica migliorano anche gli artisti. La verità è che quello che mi spinge non è tanto il successo, ma la soddisfazione di star bene con me stesso e continuare a esprimermi liberamente con la mia arte.
Nel 2023 arriva anche la partecipazione a Falegnami ad alta quota: com’è stata questa esperienza?
Il primo incontro con la troupe di Falegnami d’alta quota è stato davvero bello, girare con loro è stato divertente e spontaneo, un’esperienza veramente piacevole. Tra persone di montagna è molto facile trovare un feeling immediato. Questa nuova opera ha creato un grande gruppo di lavoro.
Secondo te è importante raccontare la montagna ed è possibile farlo anche attraverso un’opera d’arte?
L’idea nata durante la realizzazione delle varie opere è quella di creare un percorso, un cammino che unisce ad anello tutte le sculture come in una sorta di racconto di quello che è stato e di quello che non dobbiamo mai dimenticare. Quindi sì, in questo senso direi che l’arte sta aiutando a raccontare la montagna, o almeno una parte di essa.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Progetti nuovi ce ne sono tanti. Qui a Castello Tesino sto realizzando quella che sarà probabilmente l’ultima opera che guarda la Valsugana. Poi ci saranno altri progetti fuori regione e anche fuori Italia, me se ne parla nel 2024.